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Agustí Chalaux de Subirà, Brauli Tamarit Tamarit.
Agustí Chalaux de Subirà.
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Magdalena Grau, Agustí Chalaux.
Omaggi e biografie:
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Capitolo 9. LA SOTTILE SERVITÙ
DELLA CULTURA |
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Le caratteristiche della moneta anonima favoriscono
inoltre la monetizzazione, la mercantilizzazione e la prostituzione
di molti aspetti umani, perfino dei più immateriali (formazione,
informazione, ricerca, salute, diritto, politica, arte, spirito....),
mentre, paradossalmente, non aiutano a risolvere in modo soddisfacente
le funzioni più basilari della moneta: facilitare lo scambio
di beni (e non mali) e di servizi (e non disservizi), e permettere
l'equilibrio tra produzione e consumo-investimenti in società
complesse che non possono usare il baratto.
Uno dei problemi fondamentali per un cambiamento
di direzione della civilizzazione occidentale verso un maggior rispetto
per le altre culture del pianeta e verso la natura, è la
mancanza di capacità critica e creativa dei "creatori
di cultura", sottoposti a una dipendenza più o meno
riconosciuta nei confronti degli Stati (il "pubblico")
o di imprese (il "privato"), che determinano e favoriscono
programmi e progetti per mantenere il sistema.
Il fallimento dello sviluppo nei cosiddetti
"paesi arretrati" mette in evidenza non soltanto un devastante
neocolonialismo culturale ed economico, ma ancor più la povertà
della cultura occidentale, che identifica il "buon vivere"
e la "qualità della vita" con la produzione ed
il possesso di oggetti. Non ogni bene mercantile (che fa crescere
il PIL) costituisce un bene oggettivo per la persona, per la società
e per la natura, bensì in molti casi partecipa ad un male
o lo costituisce esso stesso (pregiudicando la salute, esaurendo
risorse, stabilendo sistemi di dominio...). Si può dire lo
stesso per i "servizi". La libertà non si può
ridurre a scegliere tra una serie di opzioni date, quando invece
dovrebbe soprattutto permettere di creare nuove opzioni.
Il settore economico che sta acquistando
maggiore importanza nei paesi "sviluppati", al di sopra
del settore secondario (industria) e di quello primario (materie
prime), è il cosiddetto settore terziario (servizi). Questo
è un conglomerato di attività molto eterogenee che
vanno dalla burocrazia alle libere professioni; dai trasporti alle
comunicazioni alla politica; dai servizi di pulizia a quelli informatici...
Un'altra grande classificazione dell'economia
è quella che separa le attività "pubbliche"
da quelle "private". Così, in relazione al settore
terziario, possiamo avere "servizi pubblici" e "servizi
privati".
Un'ulteriore distinzione, non altrettanto abituale, anche se non
meno importante per cercare di fare chiarezza in questo complesso
settore, è quella che separa le attività lucrative
da quelle senza finalità di lucro.
La mancanza di chiarezza teorica e pratica rispetto a questi diversi
"statuti", produce, come ognuno sa, grandi ripercussioni
sociali, politiche ed economiche.
Nel dibattito su servizi pubblici e servizi
privati sarebbe opportuno chiarire se si considerano azioni analoghe
-rette dallo stesso tipo di dinamica del mercato- produrre patate
o assistere un malato, costruire case o fare il sindaco, costruire
macchine o fare il giudice, stampare libri o fare il maestro...
Di solito si considera che i servizi pubblici sono quelli che dipendono
da qualche istituzione dello Stato, che -come rappresentante, almeno
in teoria, del bene comune- assume quel servizio, in quanto ritenuto
di utilità pubblica, al di fuori delle leggi del mercato
(gratuitamente o a prezzi politici); l'altra caratteristica, conseguente,
è che sono gestiti da funzionari.
I servizi privati, invece, sono quelli mercantilizzati, cioè
quelli per i quali l'utente paga ciò che gli viene chiesto
dal mercato, formato dai professionisti del settore o dai proprietari
dei servizi.
Il risultato è che l'utente, in alcuni
casi, come per esempio nella sanità, deve pagare mensilmente
una considerevole somma alla Sicurezza Sociale -ricevendone in cambio
un servizio deficiente, per la sua burocratizzazione e massificazione-
e, come se non bastasse, deve pagare la medicina privata -a volte
lo stesso medico che lo riceve in tre minuti nell'ambulatorio della
Sicurezza Sociale. Cose del genere si ripetono, in forme per ciascuno
peculiari, nel caso dell'insegnamento pubblico e privato, dei mezzi
di comunicazione pubblici o privati, della polizia pubblica o privata
(servizi di vigilanza e sicurezza), delle assicurazioni e pensioni
private e pubbliche, dei trasporti privati e pubblici, della ricerca
pubblica e privata...
Sembra che tutto questo genere di servizi abbiano bisogno, per il
loro buon funzionamento, di libertà, tanto da parte di chi
li esercita come da parte di chi, a seconda dei casi, ne usufruisce.
Sono dei servizi che possono degenerare facilmente, per ragioni
diverse, sia quando si statalizzano e burocratizzano, sia quando
si mercantilizzano diventando elitisti.
Non potremmo cercare un tipo di statuto differente dagli attuali,
che favorisca la gratuità -l'accesso a chiunque senza discriminazioni-
ed insieme la qualità e la libertà, tanto per i professionisti
come per l'utente? Come applicare nella pratica un modello di questo
genere senza cadere in abusi e privilegi, e neppure in nuove burocrazie
inefficienti?
Questo insieme di attività presenta
un altro problema alquanto importante: chi paga, comanda. E chi
comanda nel mondo del "sapere" comanda anche, in un modo
o in un altro, sulle coscienze delle persone. La polemica tra pubblico
(bene comune) e privato (lucro privato) è falsa. Lo Stato
è divenuto un bene privato, una corporazione che difende
i suoi privilegi (e quelli dei grandi privati che la dominano),
e che possiede tutti i mezzi coercitivi (leggi, polizie, eserciti,
giudici...) di cui i piccoli privati non dispongono. Si è
venuta a stabilire una lotta, o una zuffa da baraccone, tra due
"privati" -con interessi a volte comuni, a volte contrapposti-
che esercitano entrambi il potere del "sapere" sulla popolazione.
La reale libertà dell'utente risiede soltanto nella possibilità
di scegliere tra la medicina privata e la pubblica, tra la scuola
privata e la pubblica, tra l'informazione privata e la pubblica...
Ciascuna presenta i suoi vantaggi e svantaggi, ma entrambe sono
terribilmente gelose della medicina libera, delle scuole libere,
delle radio libere..., che non presentano impostazioni di dominazione
o di asservimento. L'utente non ha la libertà di scegliere
un altro tipo di servizio, e addirittura, in taluni casi, può
venire sanzionato o finire in prigione per averci provato. Perchè
si mantengono queste strutture così irrazionali, presentate
sotto il nome di "Stato del benessere"?
Ed ecco l'ultimo meccanismo: gli interessi
creati. Ciò che è "pubblico" viene pagato
da tutti coloro che sono obbligati a versare le tasse, ma i principali
meccanismi di presa di decisione sul come vengono spesi i denari
pubblici, e come si organizzano i servizi pubblici, sono solitamente
prostituiti da situazioni legali ed illegali, ma reali. Ed ogni
prostituzione significa pagare un prezzo, un prezzo che si fa via
via più alto quanto più trascendentale è il
potere del prostituito. Per la via legale, la prostituzione della
democrazia comincia col sistema elettorale e con l'incredibile sistema
di finanziamento che obbliga tutti i partiti a vendersi a chi possiede
i denari sufficienti per pagare le immense somme delle campagne
elettorali. Industriali e banchieri sono coloro che finanziano,
legalmente, i partiti! Se vincono, la generosa riconoscenza. Se
perdono, la schiavitù del debitore. Legalmente non si può
dimostrare quasi niente, ma tutti lo pensano e "lo sanno".
La corruzione e la bustarella sono la più patetica realtà
del potere. Vengono fuori soltanto quando interessa screditare questo
o quel concorrente creando uno scandalo.
La Giustizia, terzo braccio indipendente,
concepita per proteggere il diritto e difendere i cittadini dagli
abusi di potere, si trova impastoiata in analoghi lacci, assoggettata
al "potere pubblico" (attraverso l'esecutivo) e a quello
"privato" (per via della corruzione e delle caste sociali
a cui appartengono molti suoi funzionari).
I numeri chiusi escludono migliaia di professionisti formati per
migliorare quantitativamente e qualitativamente questi servizi,
e i concorsi per i posti di funzionario pubblico nel settore non
sempre favoriscono l'accesso ai meglio preparati dal punto di vista
delle qualità umane specifiche, bensì alle persone
capaci di superare delle prove mnemoniche che non dimostrano nulla
rispetto all'arte di esercitare una professione.
Oltre ai servizi pubblici e privati, il settore
terziario riunisce un insieme di attività culturali apparentemente
più libere: quella degli artisti (scrittori, poeti, pittori,
scultori, architetti, grafici, pubblicisti, attori, direttori di
produzioni audiovisive...). Tutti questi creatori di cultura non
sono facilmente valutabili in termini di produttività, e
normalmente dipendono dal mondo fortunoso ed altalenante degli "editori"
e dei "produttori", delle promozioni e delle speculazioni.
Possiedono una grande influenza sociale, tanto per giustificare
e mantenere un assetto sociale, come per sovvertirlo. La loro burocratizzazione,
così come la loro mercantilizzazione, garantiscono la morte
della cultura trasformatrice.
Per concludere questo ripasso, dobbiamo situare
anche quelle che abbiamo definito entità o attività
non lucrative. L'obiettivo di queste entità è quello
di beneficiare i propri soci o un determinato settore sociale, senza
che nell'attività che viene realizzata si producano guadagni
monetari. Le entità non lucrative, senza finalità
di lucro, muovono denari, ed alcune -come quelle sportive o le casse
di risparmio- ne muovono molti, ma i benefici devono venire reinvestiti.
Non ci sono azionisti, ma soci. Queste entità non possono
essere catalogate come pubbliche (per quanto svolgano una funzione
pubblica, non sono statali) e neppure come private (benchè
siano gestite da privati, non hanno finalità di lucro). Alcune
vengono considerate addirittura "corporazioni (private) di
diritto pubblico". Molte di queste entità vivono in
parte delle quote dei soci, in parte di sovvenzioni pubbliche ed
in parte di sponsor privati. E dunque non sempre possono mantenere
la loro pretesa indipendenza.
C'è infine un altro tipo di "servizi",
mezzo legali e mezzo illegali, da alcuni considerati liberi e da
altri "coatti", che hanno a che vedere col sesso e con
l'affetto. Per quelli che considerano la prostituzione come un fatto
libero e naturale, questa dovrebbe trasformarsi in un servizio,
pubblico o privato, ma comunque "sicuro" e "degno".
Probabilmente questo è uno dei casi più rappresentativi
di ciò che finora si andava dicendo. Una cosa è accettare
che, per vivere, si debba vendere la propria forza lavoro, ed un'altra
che si debba vendere se stessi (o cosificare una parte di se stessi).
L'affetto, il sesso, così come lo spirito e la coscienza,
sono realtà troppo speciali per potergli dare un prezzo,
per mercantilizzarli senza distruggere la persona e la sua dignità.
E solitamente non lo si fa se non è per sopravvivere. Se
ciascuno disponesse di mezzi per vivere degnamente, non sarebbe
tanto facile che bambini, adolescenti e adulti lasciassero mettere
un prezzo alla loro intimità.
Ed al fianco del sesso, lo spirito. La prostituzione dello spirito,
col mercato delle religioni, si aggiunge alla prostituzione della
politica, della cultura, dell'arte. Il denaro, oscuro, imputridisce
ogni cosa, in queste sfere. Nelle grandi chiese e nelle sette. Tutta
questa "sovrastruttura" possiede la capacità di
suscitare e guidare gli aneliti di liberazione più profondi,
o viceversa "alienare" le persone ed i popoli. Questo
è il suo potere, e coloro che "pagano" conoscono
perfettamente la rendibilità del loro investimento a fondo
perduto!
Dopo questi anni di esperimenti con la pianificazione
statale, sembra non rimanga altra strada che quella di accettare
che il mercato, in determinate condizioni e luoghi, può essere
un buon meccanismo di produzione e distribuzione della ricchezza.
Il problema è che bisogna precisare molto bene queste condizioni.
E ancor più occorre distinguere ciò che è mercantilizzabile
da ciò che non può esserlo, perchè produce
effetti secondari che vanno in direzione opposta a quella perseguita.
La competitività, quando non è sleale, sembra un buon
sistema per sviluppare la "competenza", la capacità
di efficienza responsabile in qualunque ambito economico. Ma dobbiamo
riconoscere che la sua condizione basilare, la lealtà, solitamente
non si compie. Senza contare che, per altro verso, competitività
non vuol dire sempre finalità di lucro, nè emarginazione
dei perdenti, e neppure mercantilizzazione di tutte le realtà
naturali o di tutte le attività umane. Può esservi
"competenza professionale" senza "competitività
mercantile", quando esistono motivazioni ulteriori rispetto
a quelle mercantili. Per tanto, bisogna porre al mercato quei limiti
al di fuori dei quali la sua funzione efficientista diviene viceversa
perturbatrice e controproducente.
Analogamente, la comunitarizzazione può
risultare molto adatta per preservare e potenziare spazi naturali
ed umani in cui possa svilupparsi il lato non produttivista della
vita. D'altro canto la comunitarizzazione non è sinonimo
di statalizzazione, e quando si radicalizza ed esce dagli ambiti
suoi propri crea ugualmente disfunzioni gravissime.
Quali sono, dunque, gli ambiti specifici e complementari del mercato
e del "comunitario", della libertà e della solidarietà,
del privato e del comune, del lucrativo e del non lucrativo? Ed
una volta definiti tali ambiti, come favorire la dinamica propria
di ciascuno di essi senza interferenze nè dipendenze surretizie
degli uni sugli altri?
Il mercato regola bene ciò che necessita l'intercambio quantificato
in un quadro di abbondanza, di crescita, di illimitatezza. Però
risulta che la realtà ha dei limiti -più o meno immediati,
ma ne ha. Senza pretendere di essere esaustivi, e tenendo conto
della problematica posta e delle possibilità di soluzione
pratica, ci sono tre grandi ambiti che attualmente percepiamo come
spazi che dovrebbero essere smercantilizzati, o protetti da una
possibile mercantilizzazione:
- La natura, le risorse naturali, specialmente
quelle fisse (come la terra), quelle esauribili e non rinnovabili
(come i minerali fossili), e quelle non riciclabili, sono cose difficilmente
mercantilizzabili senza che ciò metta in pericolo la sopravvivenza
della vita nel pianeta.
-L'essere umano, le sue relazioni interpersonali, le sue istituzioni
culturali e comunitarie sono anch'esse difficilmente mercantilizzabili
perchè di difficile misurazione (molto più qualitative
che quantitative), e perchè il potere del denaro può
trasformarle in pericolosissime armi di potere contro le persone,
attraverso la manipolazione e l'alienazione della loro intimità.
- Il denaro, di per sè principale strumento della mercantilizzazione
della realtà, diventa un'arma mortale quando lo si mercantilizza,
quando gli si lascia acquisire autonomia sulla realtà del
mercato -e, in alcuni aspetti, della comunità-, per il fatto
che sconvolge e sbilancia il mercato e la società reali (inflazione
e deflazione monetaria; speculazione di titoli e di valuta).
Però, chi e come deve vegliare per questa
smercantilizzazione della natura, delle persone e della moneta?
Quali sono i limiti della "comunità" e, soprattutto,
di colui che storicamente pretende esserne il rappresentante?
Se il mercato deve avere dei limiti, lo Stato pure. Questo -con
tutte le sue istituzioni di governo, a tutti i livelli ed in tutti
gli ambiti- non dovrebbe interferire nella dinamica del mercato
facendogli una competenza sleale; i servizi che offre dovrebbero
essere gratuiti e di libero esercizio, e non dovrebbe avere participazioni
in imprese mercantili di produzione o di servizi.
Per la gestione delle risorse naturali bisognerebbe trovare il modo
di assegnare al costo delle materie prime "comunitarie"
delle "tasse verdi" per proteggere le risorse, per ricercare
dei succedanei, per favorire il riciclaggio dei rifiuti e per impedire
l'inquinamento. Il suolo dovrebbe passare ad essere proprietà
comunitaria -non statale- e dovrebbe venire dato in affitto a lungo
termine per funzioni ben determinate. Questo faciliterebbe la protezione
delle risorse e anche un ordinamento razionale ed ecologico del
territorio.
Una moneta adeguata potrebbe svolgere un ruolo
importantissimo per evitare le sue proprie disfunzioni e per rendere
fattibile questo piano di smercantilizzazione di alcuni ambiti.
È molto probabile che senza uno strumento monetario diverso
dall'attuale qualsiasi tentativo di cambiamento in tutti questi
ambiti sia destinato all'insuccesso. Il denaro continuerà
a fluire impunemente ed oscuramente da un settore all'altro, per
corrompere funzionari, per far vincere una fazione politica, per
manipolare notizie, per bloccare invenzioni e ricerche, per assopire
le coscienze, per prostituire la cultura, per speculare sulla terra
e sul denaro stesso.
Se si vogliono distinguere ambiti mercantili e
non mercantili occorrono strumenti che ne favoriscano la distinzione.
In questo senso si tratta di vedere se è possibile un sistema
monetario che, oltre ad essere personalizzato -che lasci traccia
e responsabilizzi- sia adattabile ad ogni settore, ambito ed attività,
e che non consenta d'infrangere impunemente i limiti di ciascuno.
Come vedremo nei prossimi capitoli, si può immaginare un
sistema nel quale esista una sorta di "moneta specializzata":
una "moneta" che possa essere usata soltanto per finanziare
ciò che non è mercantilizzabile, ed un'altra per ciò
che è proprio del mercato; una "moneta" che renda
evidente la legalità dell'intercambio; un'altra che faciliti,
senza burocrazie, la comunitarizzazione del suolo e l'applicazione
di tasse verdi sull'estrazione di materie prime e sull'inquinamento...
* *
Per rimarcare l'importanza del tema, vogliamo
terminare con alcune testimonianze di persone che ci hanno colpito
e che mettono in evidenza in modo crudo, dall'interno delle rispettive
professioni -comunicatori di massa e giuristi- il problema del peso
della mercantilizzazione e del funzionariato.
Agli inizi del secolo, Joan Puig i Ferreter (1926)
esprimeva assai bene lo stato di servitù della cultura. "Perchè
noi giornalisti, che ci poniamo al servizio di un'impresa industriale,
stiamo peggio degli schiavi. La nostra servitù è ancora
più rivoltante. Io venderei con gioia i servizi del mio corpo.
Mi piacerebbe conoscere un mestiere: rilegare, fare scatole di cartone...
-mettere a frutto otto ore di lavoro per guadagnarmi il sostentamento.
Mi sembra che per me sarebbe un'allegria. Invece non posso sopportare
senza risentimento, tristezza ed amarezza la servitù dell'anima
e dell'intelligenza."
"L'asino del mulino procura acqua per irrigare
i campi. E noi cosa irrighiamo? Promuoviamo la stoltezza, l'ignoranza,
la menzogna e l'imbecillità. Stimoliamo coloro che fanno
affari, serviamo de trampolino a tutti gli audaci e gli svergognati
che ci sono al mondo; ci inchiniamo davanti a tutti, incensiamo
i cretini e gli idoli di latta. Appoggiata a noi sopra la nostra
stupida servitù, crescono la ricchezza, la gloria, la vanità,
l'autorità, l'abuso ed il crimine; e noi ci consumiamo nella
miseria, nell'oblio e nel risentimento. Ed osiamo dirci intellettuali!...
E ci comprano con biglietti per la corrida [...], spettacoli benefici,
stipendi da manovale e ricevimenti aristocratici."
Benchè
siano cambiate molte cose, ancor oggi continua una sottile servitù
della cultura che si esprime in modi diversi, ma non meno corrosivi,
tanto se il dominio è "privato" come se è
"pubblico". Il conosciuto linguista Noam Chomsky (1988)
è assai chiaro nella sua analisi del sistema di comunicazione
di massa negli Stati Uniti, paese considerato come un emblematico
"guardiano della libertà".
"I mezzi di comunicazione di massa degli USA
[...] permettono -addirittura promuovono- energici dibattiti, critiche
e dissidenze, sempre e quando rimangano fedeli al sistema di ipotesi
e principi che costituiscono il consenso dell'elite, un sistema
tanto potente che può essere in gran parte interiorizzato,
senza esserne consapevoli." "L'opinione pubblica è
esposta a potenti e persuasivi messaggi che provengono dall'alto
ed è incapace di stabilire un contatto significativo attraverso
i mezzi di comunicazione in risposta a questi messaggi [...] I dirigenti
hanno usurpato un'enorme quantità di potere politico ed hanno
ridotto il controllo popolare sul sistema politico utilizzando i
mezzi di comunicazione per generare sostegno, accettazione ed una
evidente confusione tra l'opinione pubblica -citando W. Lance Bennett."
E continua: "Nei mezzi di comunicazione, così
come in altre grandi istituzioni, coloro che non mostrino i valori
ed i punti di vista richiesti saranno considerati "irresponsabili",
"ideologici" o in qualche modo aberranti, e tenderanno
ad essere messi da parte. [...] Quelli che si adattino, magari onestamente,
avranno la libertà di esprimersi con scarso controllo da
parte dei superiori, e potranno affermare, con ragione, che non
sono oggetto di alcuna pressione per adattarsi." "Un giornalista
che non desideri lavorare duramente può sopravvivere, e perfino
acquisire rispettabilità, pubblicando informazione (ufficiale
o confidenziale) proveniente dalle fonti abituali; queste opportunità
possono venire negate a coloro che non si accontentano del fatto
di trasmettere le interpretazioni della propaganda dello Stato come
se si trattasse della realtà."
"Per riassumere, i mezzi di comunicazione di massa degli USA
sono istituzioni ideologiche efficaci e potenti, che portano a termine
una funzione propagandistica di sostegno al sistema attraverso la
loro dipendenza dalle forze del mercato, le ipotesi interiorizzate
e l'autocensura, e senza una coercizione aperta e significativa."
Il decisivo mondo della comunicazione soffre di
questi mali, ma non è l'unico. L'Amministrazione della Giustizia,
almeno in Spagna, è un altro buon esempio di ciò che
stiamo dicendo. Joan Roig Plans (1991), conclude un recente studio
dicendo che "senza una terapia d'urto, vediamo difficile uscire
dalla voragine attuale".
"La mancanza di qualità del lavoro
dei professionisti [va] molto legata ad una scarsa o inesistente
vocazione, a conseguenza dell'avere scelto la professione come un
lavoro con la stabilità del funzionario oppure, nel caso
dei liberi professionisti, mercantilizzando gli uffici professionali.
In ogni caso, facendo in modo che la motivazione principale del
lavoro sia l'ottenere dei guadagni, invece che il senso della giustizia
o, addirittura, il gusto del lavoro fatto bene."
Considera che "essere in causa è riservato
ai ricchi, o ai disperati che si trovano in situazioni limite".
"L'alto costo che comporta l'essere in causa determina che
i cittadini -e principalmente quelli che soffrono di ristrettezze
economiche- rinuncino a far valere i loro diritti in tribunale.
E ciò, ovviamente, in beneficio di interessi illegittimi.
Per altro verso, comporta anche che, disponendo di mezzi economici,
si possano ottenere, illegalmente -e, paradossalmente, attraverso
la minaccia di una causa- delle concessioni da parte di chi ha difficoltà
a far fronte alle spese." "Il sistema di onorari per la
retribuzione del lavoro dei liberi professionisti che intervengono
nell'Amministrazione della Giustizia non è imparziale perchè
gratifica principalmente in base al valore delle questioni."
Ritiene che "un'Amministrazione di Giustizia
inefficace propizia la difesa degli interessi e la realizzazione
dei diritti al margine dei meccanismi legali e, per tanto, con un
alto rischio di arbitrarietà. Inoltre, genera nella cittadinanza
il senso dell'impunità delle azioni illegittime, produce
sconforto e scetticismo e, in definitiva, la perdita di fiducia
e riconoscimento collettivi, che sono essenziali per un benessere
solidario".
Sorprende positivamente l'audacia di alcune delle
alternative che propone: "promuovere la creazione di tribunali
di deontologia misti, con membri delle distinte professioni giuridiche,
e con giurisdizione disciplinare sui professionisti di ciascuna
di esse, per assicurare che si evitino le impunità che possono
motivare reazioni corporativiste" e "che il lavoro degli
avvocati e dei procuratori sia retribuito dallo Stato, con assoluta
proibizione di ricevere qualunque emolumento privato come pagamento
di un lavoro di difesa giudiziale".
Note:
1 PUIG I FERRATER, Joan (1926), Servitud, Edicions
62, Barcelona, 985, p. 66
2 Idem, p. 91.
3 Chomsky, Noam, i Herman, Edward S., (1988), Los guardianes de
la libertad, Crítica, Barcelona, 1990, p. 348.
4 Idem, p. 349.
5 Idem, p. 350.
5 Idem, p. 352.
7 Idem, p. 353.
8 ROIG I PLANS, Joan, Alternatives per a un funcionament més
eficaç de l'Administració de la Justícia, intervento
presentato a l'"Aula Provença", Barcelona, 14-II-1991.
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