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Capitolo 5. ARISTOTELE CONTRO
PLATONE |
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Un punto di vista "interessato"
sulla storia della moneta ha fatto prevalere la visione aristotelica
(terza mercanzia con valore intrinseco) sulla visione platonica
(segno monetario astratto col quale fare una regola di equivalenza).
Inevitabilmente, dobbiamo riferirci ad un minimo
di storia per cercare di capire dove è nato l'inghippo.
È tra Platone ed Aristotele che i libri di storia del pensiero
economico situano normalmente l'inizio della polemica sulla moneta.
Platone proponeva che il denaro fosse un "simbolo" arbitrario
per facilitare gli scambi. Era ostile all'uso dell'oro e dell'argento
giacchè, a suo avviso, il valore del denaro doveva essere
indipendente dal materiale con il quale si fabbricavano le monete.
Aristotele, in consapevole opposizione alla teoria di Platone, fu
padre del seguente ragionamento: l'esistenza di una società
non comunitaria implica l'intercambio di beni e servizi; questi
intercambi assumono inizialmente la forma del baratto; ma la persona
che desidera una cosa posseduta da un'altro può essere sprovvista
di ciò che quest'altro desidera; e dunque sarebbe necessario
accettare a cambio una cosa non desiderata, in vista di poter ottenere
la cosa desiderata attraverso un altro baratto; il che significa
che la gente sarà portata a scegliere una certa mercanzia
come mezzo di scambio; i metalli vengono solitamente preferiti per
le loro caratteristiche di omogeneità, divisibilità,
facilità di trasporto e relativa stabilità di valore.
Tale visione metallista ha prevalso fino a tempi recenti, malgrado
le forti contraddizioni a cui la realtà l'ha resa soggetta.
In sintesi, sono queste le due posizioni in base
alle quali, in Occidente, nel corso dei secoli sono state compiute
variazioni sul tema senza grande accordo. Le teorie si sono a volte
complementate a volte contraddette con le pratiche monetarie. La
storia della moneta e delle sue teorie è una storia piena
di confusione e di crisi.
Lo
stesso Schumpeter, nella sua monumentale opera sulla storia dell'analisi
economica, riconosce che "quali che siano le sue debolezze,
questa teoria [aristotelica] malgrado le infinite discussioni ha
sostanzialmente predominato fino alla fine del secolo XIX e persino
in seguito. È la base del nucleo di ogni lavoro analitico
compiuto nel campo del denaro." La sua influenza è stata
tanto poderosa che ancor oggi il cittadino comune continua a pensare
che la carta moneta che viene emessa corrisponda ad una quantità
d'oro chiusa nei sotterranei della banca centrale ed ignora generalmente
la creazione bancaria di denaro.
Le teorie monetarie attuali riconoscono ed accettano
i cambiamenti avvenuti nella direzione di una progressiva astrazione
della moneta, eppure, nonostante che molte di queste descrivano
una realtà monetaria totalmente svincolata dalla teoria metallista,
continuano ad essere incapacitate, in generale, ad immaginare un
altro sistema monetario differente. Il sistema monetario diviene
in questo modo il frutto degli accordi tra le potenze economiche
ed il risultato degli insuccessi delle autorità monetarie
mondiali, sempre tentate di trascinare il peso dei metalli davanti
alla "magia" di un denaro slegato da tutto, che il sistema
bancario ha creato e che non sanno controllare.
In
definitiva, sono i risultati del dominio -teorico e pratico- della
visione aristotelica -il metallismo-, che ha resistito fino a poco.
"Il metallismo teorico, generalmente associato al pratico,
si mantenne vigoroso nel corso dei secoli XVII e XVIII e trionfò,
infine, nella "situazione classica" cristallizzatasi nell'ultimo
quarto del secolo XVIII. Adam Smith ratificò in buona sostanza
il metallismo. E per più di un secolo fu accettato quasi
universalmente -da Marx, implicitamente, più che da qualunque
altro- fino al punto che la maggioranza degli economisti arrivò
a sospettare non solo dell'inconsistenza del ragionamento, ma addirittura
di propositi inconfessati dietro a qualunque espressione di opinioni
antimetalliste."
"Ci fu però anche una tradizione antimetallista, senza
dubbio più debole ma non meno antica, se si ammette che le
sue origini si ritrovano nell'opera di Platone."
Uno dei tentativi più audaci, tanto sul piano teorico come
su quello pratico, fu quello realizzato da John Law in Francia nei
primi anni del secolo XVIII. "Elaborò la dottrina teorica
del suo progetto con una brillantezza ed una profondità che
lo situano nella prima fila dei teorici monetari di tutti i tempi.
È però evidente che la sua analisi fu condannata per
circa due secoli a causa, principalmente, del fallimento della sua
Banque Royale [...] e della Compagnia delle Indie da questa assorbita,
per il fatto che le avventure coloniali in cui era immersa la seconda
si rivelarono, in quel momento, nient'altro che una fonte di perdite."
"Se quelle iniziative avessero avuto successo, il grandioso
tentativo portato avanti da Law di controllare e riformare la vita
economica di una grande nazione attraverso gli strumenti finanzieri
avrebbe assunto un aspetto differente agli occhi dei suoi contemporanei
e degli storici". "Law sottolinea che le virtù
della carta moneta consistono nel fatto che la loro quantità
può essere ricondotta ad una amministrazione razionale."
"L'argento che viene utilizzato come denaro [...] è
perfettamente sostituibile con un materiale più economico
e, al limite, per un materiale che non possiede alcun valore come
mercanzia, com'è il caso della carta moneta, già che
il denaro non è il valore per il quale si scambiano i beni,
bensì il valore attraverso cui si scambiano." "Vi
era un grande piano, molto avanzato e sulla strada del successo:
era il piano di controllare, riformare e risollevare ai massimi
livelli l'economia francese. È questo che fa del sistema
Law il genuino antenato dell'idea di moneta diretta [che] significa
amministrazione della moneta e del credito come mezzo per guidare
il processo economico [...] idea successivamente perduta... finchè
non si va imporre a partire dal 1919."
Questo è un esempio del peso dell'inerzia
dei paradigmi che costituiscono, guidano ed incasellano la nostra
visione della realtà. Quando nel 1919 si comincia ad accettare
la carta moneta e a superare la necessità della sua convertibilità
in oro, si procedeva nuovamente in ritardo. L'estensione dei conti
correnti e degli assegni, con la corrispondente espansione del credito
ed invenzione di denaro bancario, cominciava a rendere insufficiente
l'uso della carta moneta, che già non era adeguata per "ricondurre
la sua quantità ad una amministrazione razionale", come
diceva Law. Oggi, con l'introduzione massiva di carte di credito
viene a ridursi ancor più la percentuale di contante nelle
mani del pubblico ed aumenta, per tanto, la capacità di creazione
di depositi bancari, di modo che ai biglietti e alle monete metalliche
è riservata una sempre minore quota d'uso.
Note:
SCHUMPETER, Joseph A. (1954), História del
Análisis Económico, Editorial Ariel, Barcelona, 1982,
p. 100.
Idem, p. 338.
Idem, p. 341.
Idem, p. 343.
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